Il Simbolo del Martello di Thor

di Widuhudar

Tutti i diritti riservati alla Comunità Odinista.

*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*^*

 

Ciò che avviene nei nostri blótar, durante il sacrificio e la santificazione della nostra assemblea davanti agli Dei svela le grandi potenzialità di un movimento umano come il nostro, il significato profondo della nostra battaglia, tuttavia, può nascondersi anche nelle piccole cose o nei gesti semplici che contraddistinguono uno stile di vita. E se è lecito pensare questo, come si può ignorare la forza che è custodita nel simbolo sacro più esposto dagli odinisti?

Proviamo a tracciare la storia di questo simbolo, il Martello di Thor, analizzandone la funzione e ripercorrendo la sua evoluzione iconografica: quali sono le prime testimonianze di quest’alleanza tra uomini e dei?

Molti amuleti in ambra, risalenti alle epoche preistoriche, sono stati ritrovati in tutta l’Europa settentrionale. Le prime rappresentazioni risalgono all’Età del Bronzo sotto forma di incisioni (1600-450 prima dell’era comune), successivamente, il modello concentra la sua circolazione nell’area Danese, nel Sud-est della Svezia e nella Norvegia meridionale: vale a dire nelle aree sottoposte ad una più intensa opera di cristianizzazione. In alcuni casi la rappresentazione di questi rilievi si presenta composta (martello-ascia), come nel caso di Foss. Un caso particolare sono le rappresentazioni nelle tombe anglosassoni del Kent (anche queste indice di una qualche resistenza all’influenza cristiana). Il martello e la rappresentazione del suo utilizzo con funzione sacramentale, dunque, si è mantenuta dall’età del Bronzo sino ai giorni nostri.  

Il Thorshamarr come simbolo sacro

Solitamente le definizioni di simbolo sono molteplici e non sempre univoche: si parla di simbolo come si un segno (cioè di una valenza grafica) che solitamente allude ad una cosa (dal valore universale) o ad un concetto utilizzando la rappresentazione di un qualcosa di diverso. Il termine greco “symbolon” stava ad indicare un anello o una moneta spezzati in due metà, cosicché due persone – unendo queste parti – potessero riconoscersi (verbo greco “symballo" = unisco, metto insieme) . In effetti l’uso del simbolo, può essere inteso anche come la volontà di collegare per analogia o somiglianza due cose diverse.  

Le immagini simboliche possono essere chiare (e per questo vengono utilizzate come strumento di mnemotecnica) oppure enigmatiche, solitamente utilizzate per questo loro valore esoterico da iniziati). Per i popoli antichi il simbolo era associato alla fede religiosa ed all’apparato religioso ad essa collegato. Nel Medioevo la forza dell’iconografia sacra viene trasfigurata negli emblemi nobiliari delle casate e persino in quelli di precisi ordini professionali (come quello dei muratori) costituendo un codice simbolico arcano e complesso.

Nel nostro caso, il simbolo del Martello di Thor identifica il portatore con la fede professata: un punto di incontro tra umano e divino, un generatore di forza e non una mera ibridazione. Il Thorshammer mette in relazione due concetti fondamentali dell’esistenza umana: l’Örlog (l’universale della legge primordiale che segna la natura dei figli degli uomini) ed il megin (la potenza interiore, il concetto umano-particolare). Il nostro martello è il fulcro sul quale ruotano, si incontrano la legge dell’esistenza e la forza vitale di ogni odinista. Nella tradizione odinista più prossima a noi, il “rituale del martello” serve a purificare e a reclamare il luogo sacro, la formula recitata in norreno viene pronunciata mentre si esegue il “segno del martello” con un gandr (asta runica) o con un martello sacro. Nel sacrificio dedicato a Thor , il Thórrablót, viene arsa l’effige di un martello intorno al quale si svolge il rituale speciale del “thorshamarr sorgente”. Infine, il segno del martello consacra il corno potorio con l’idromele ed è una pratica personale che viene eseguita su sé stessi a chiusura del rituale. Il segno del martello consacra il corno potorio contenente la bevanda sacramentale così come il corpo dell’Odinista che partecipa all’arengario rituale (la pratica di segnare il corpo con un simbolo sacro è stata, in seguito, adottata e diffusa dai cristiani)  

Tradizione teutonica: celtica e germanica.

Come mettere in relazione questo simbolo alla tradizione prossima a noi? Le tracce di un antico culto riecheggiano nel nome di un affluente del Po, il Tanaro. E’ un patto tra la terra e il cielo, vincolato dal fluire delle acque destinate a ripetere incessantemente il nome del dio gallico Taranis, chiamato anche Tanaros, Taranucus o Taranucnus “il tonante”. Il suo nome derivava dalla radice celtica “taran” ed era anche il dio celtico della ruota, suo attributo al pari del fulmine. Sono stati ritrovati diversi altari a lui dedicati in Germania, Francia, nelle aree balcaniche. E’ il dio della ruota solare, dello swastika e il suo culto testimonia la persistenza del “mito polare” attraverso le lande della vecchia Europa. Taranis è rappresentato con la barba, lo stesso aspetto virile e vigoroso è attribuito al celtico Sucellus: il dio ha il martello in pugno e una coppa o, in una variante borgognona, un otre e una coppa. Il nome del dio deriva dal prefisso Su, buono e da kel-do-s (nella sua versione latina “percellere” “sconvolgere, colpire, uccidere”, in greco klao spezzare, lituano kálti “martellare, forgiare”) il significato esteso risulterebbe “ il buon picchiatore” o “colui che batte bene”.

Nella tradizione nordico-germanica Thor è il dio dalla barba rossa, il figlio di Odin e Jörd. Il suo attributo divino è il martello Mjöllnir , il frantumatore ( o “arma lampeggiante”) ed è anche chiamato OkuþórrThor del carro” e dunque in relazione con un ciclo di rigenerazione legato alla simbologia della ruota: “Nel lessico e nel folclore scandinavo restano tracce di questa antica concezione. In Svezia, ancora nel XVII secolo, la parola per «tuono», åska f., si scriveva åsekia, cioè «il procedere del dio (ase) su un veicolo». Nel folcolre della Svezia orientale restano espressioni quali åsen kör «il dio (ase) guida il carro», per indicare «tuona», e åsaregn n. «pioggia del dio (ase)», per indicare la pioggia che cade quando tuona, ritenuta particolarmente efficace per la fertilità dei campi. Sempre in svedese si ha il termine Thoråk ( o Toråk) che significa «tuono» ed è composto dal nome del dio più åka «andare su un veicolo» (in G.Chiesa Isnardi, I miti Nordici, pag. 226).

Il martello di Thor come amuleto e come simbolo distintivo attraversa la storia delle popolazioni germaniche e trova riscontro nelle sue varianti anglosassoni e scandinave. C’è un continuo dibattito tra gli studiosi circa l’uso del martello, vale a dire se si tratti di un semplice elemento di distinzione, in opposizione alla dottrina cristiana ed alla politica della conversione forzata, o se fosse un amuleto appartenete ad una più antica tradizione. Il simbolo è stato riprodotto su diverse pietre runiche scandinave, con funzione propiziatrice e secondo una pratica votiva. Il Thing islandese si apriva nel giorno di giovedì, iul giorno di Thor. Il martello non solo consacra la pira funeraria (come nel caso del funerale di Balder), ma consacra anche i matrimoni ( sotto la forma di ascia o martello): accompagna e consacra l’intero ciclo vitale dell’esistenza.  

Raffigurazioni del martello sacro a sud delle Alpi

Un rilievo con la raffigurazione di un personaggio con folta barba che regge un martello, è stato recentemente esposto nel corso mostra sul Longobardi di Torino (tenutasi al Palazzo Briccherasio). Si tratta di un rilievo ritrovato in Piemonte, in quel di Novara, e che attualmente è custodito nel locale museo diocesano (risale probabilmente ad un periodo compreso tra la fine del VII-inizio VIII sec).? Non ci risultano altri elementi nella toponomastica da fare risalire al nome del dio del tuono…in Cadore, alcune cime montuose chiamate “Spalti di Toro”, vengono messe in relazione al nome di Thor (secondo lo storico Giuseppe Ciani, 1793-1867, ne la "Storia del popolo del Cadore", il nome andrebbe messo in relazione alla zona “abitata da Longobardi, adoratori di Thor”), anche se il nome potrebbe verosimilmente collimare con la parola celtica “Taur”, monte, anche alla luce dei numerosi ritrovamenti nella zona, pur non avendo assonanza con Torino, la capitale subalpina dei montani Taurini. Al confine tra Canavese e Valle d’Aosta nel territorio compreso tra il comune Quincinetto e quello di Tavagnasco (il toponimo deriverebbe dal nome gotico Taban con suffisso –ascus), presso la località detta la Balma/Rupe di Bardandone, sono state ritrovate quattro tombe scavate nella roccia: sul muro di pietra prospiciente questi cenotafi è visibile una forma davvero simile a quella di un martello (curiosamente a “T” , simbolo inusuale per l’arte rupestre locale se si trattasse di una cristianizzazione successiva del luogo).

Infine, tornando alle Alpi orientali, dalle cronache ottocentesche del villaggio sudtirolese di Unterinn (italianizzato in “Auna di sotto”), apprendiamo l’uso di incidere una “T” sulle porte di ingresso di tutte le case, come forma di difesa da ogni cosa malvagia (in particolare dalle tempeste) [fonte: Joh. Adolf Heyl, Volkssagen, Bräuche und Meinungen aus Tirol, Verlag der Buchhandlung des Kath.-polit. Pressvereins, Brixen 1897), p. 804

Il martello di Thor, il cosiddetto Þórshamarr islandese, nella sua versione “a swastika” rappresenta la sua forma del martello in movimento: sintetizza la posizione nei punti cardinali ed il verso di rotazione (da destra verso sinistra). E’ il martello che ruota intorno al fulcro corrispondente all’anello che lo sorregge: il movimento genera energia , e questa può determinare distruzione ( il “frantumatore” Mjöllnir, o vita ( martello o ascia che consacra unioni coniugali e nascite, come leggiamo nell’incisione rupestre di Hvitlycke, in Svezia). Secondo la tradizione islandese questo simbolo magico a forma di croce uncinata, tracciato invocando Odin e Thor, aveva la capacità di scacciare i ladri (J.Árnason, Íslenzkar Þjóðsögur og Æfintýri, Lipsia, 1862-1864, I pp.445-6) 

Questo simbolo, usato come distintivo evidente di resistenza spirituale contro l’invasione cristiana, si contrappone anche come immagine di forza vitale, al contrario della croce che rappresenta l’evidenza di una condizione di morte e sofferenza. Nella tradizione Eddica, il Martello rubato dal re dei giganti Þyrm, posto sul grembo, è utile a consacrare l’unione feconda “per mano di Vár”. La forza vitale trasmessa dall’arma del dio viene anche messa in evidenza anche dall’episodio in cui Thor, di ritorno dalla dimora del gigante Hymir, dopo aver ucciso i suoi capri ne consacra col martello le pelli e le ossa riportandoli in vita. 

La relazione con il territorio è evidente nella tradizione islandese, dove il simbolo magico del “martello di Thor” serve a delimitare il territorio (utile altresì per difendersi e proteggere l’abitazione dai ladri, come abbiamo già scritto). Ed è secondo questa concezione che, nel rito del martello che apre i Blotar, l’antica formula norrena recita: Hamarr, helga ve thetta ok hindra alla illska ( e cioè: “Martello, consacra questo luogo/tempio e ostacola l’entrata di ogni cosa malvagia” ) funge da consacrazione del luogo, dello spazio sacro, contemporaneamente il simbolo del Þórshamarr viene tracciato nei 4 punti cardinali e sul luogo dove si riunisce l’assemblea. 

Widuhudar